Mentre il rally del mercato azionario europeo è stato trainato dalle grandi imprese, nelle ultime settimane si è discusso molto delle valutazioni delle società europee a bassa e media capitalizzazione a confronto con le large cap. Niall Gallagher analizza i fattori strutturali a lungo termine concludendo che, anche se le small cap e mid cap (SMID) presentano valutazioni interessanti, in ultima analisi non sono più convenienti di quelle a più elevata capitalizzazione.
04 luglio 2024
Una domanda ricorrente che mi hanno fatto i clienti recentemente è se le società europee a bassa e media capitalizzazione offrano veramente un valore eccezionale nell’ambito del mercato europeo in generale. Forse ciò dipende dal fatto che i fondi europei costituiti dalle SMID europee vengono offerti a valutazioni apparentemente “molto convenienti”, e sembra sia un ottimo momento per investire in questo mercato.
Noi di GAM siamo scettici in merito all’effettiva dislocazione a livello della capitalizzazione di mercato in Europa. Tale convinzione si riflette nelle nostre posizioni. Se credessimo che le azioni europee delle small e mid cap fossero particolarmente interessanti o presentassero valutazioni eccezionalmente convenienti, avremmo una posizione sovrappesata nel 4° e 5° quartile della capitalizzazione di mercato rispetto all’indice MSCI Europe, ma non è così. Dunque, la risposta breve è no, non crediamo che le SMID europee siano particolarmente convenienti o interessanti rispetto al resto del mercato. Crediamo però che valga la pena di spiegare più in dettaglio perché diamo questa risposta ai clienti, corredandola con qualche dato. Questo articolo è suddiviso in due parti, una prima parte più breve sulla performance e sulle valutazioni con qualche semplice dato che conferma il nostro punto di vista, e una seconda parte più lunga e più strutturale che spiega per quale motivo occorre esercitare cautela nei confronti delle SMID europee e perché molti aspetti dei mercati hanno spesso una dimensione strutturale.
Prima parte: i dati
Valutiamo innanzitutto la posizione “ciclica”: a prescindere dagli ostacoli strutturali, le azioni delle società europee a bassa e media capitalizzazione sono particolarmente convenienti o presentano un’effettiva dislocazione rispetto al resto del mercato azionario europeo? La Figura 1 presenta una serie di valutazioni nel periodo più lungo che potevamo analizzare, mentre la Figura 2 mostra performance e redditività. Insieme, le due figure evidenziano quanto segue.
- Considerando un periodo molto lungo, dal 1990, le SMID europee non sembrano convenienti rispetto alle azioni delle large cap europee relativamente al rapporto tra prezzo e utili e i dividendi, anzi sembrano in linea con i valori medi a lungo termine. In effetti, i titoli delle società a elevata capitalizzazione appaiono convenienti rispetto alle SMID europee fino al 2022 circa, quando le valutazioni delle large cap hanno raggiunto le valutazioni normali/medie delle small e mid cap. Storicamente, le società a elevata capitalizzazione scambiavano a valutazioni inferiori alle SMID europee, oggi scambiano leggermente al di sopra. Tuttavia, se consideriamo le medie a lungo termine, la differenza è minima e certamente ben lontano dai valori della fine degli anni ‘90 quando le large cap scambiavano a valori più alti rispetto alle SMID.
- C’è stata un’ampia inflessione positiva del ROE delle large cap (grafico in basso a destra nella Figura 2), in linea con l’espansione del rapporto tra prezzo e valore contabile delle società a elevata capitalizzazione rispetto alle SMID europee (grafico in basso a sinistra nella Figura 1). L’inflessione del ROE delle società a elevata capitalizzazione dipende da un significativo aumento della redditività del settore bancario europeo (un settore large cap), ma ci sono anche altri fattori in gioco, tra cui la crescita straordinaria della redditività di una manciata di mega cap come Novo Nordisk, ASML, una situazione analoga a quanto sta succedendo nel mercato azionario statunitense.
- L’aspetto forse più interessante riguarda i dati sulla performance riportati nella Figura 2 che mostra che ci sono stati periodi prolungati in cui le società a elevata capitalizzazione hanno fatto meglio delle SMID europee, e viceversa. Pensiamo agli anni ‘90 quando le società a elevata capitalizzazione riportarono performance migliori delle SMID europee durante la bolla delle dot-com, e poi alla situazione inversa nel periodo tra il 2002 e il 2022 quando le SMID europee hanno fatto meglio delle large cap per molto tempo. Effettivamente, la sottoperformance delle SMID europee rispetto alle large cap mette in difficoltà coloro che sostengono che le società a bassa e media capitalizzazione scambiano a valutazioni distressed, con un andamento anomalo su scala globale. Se ci troviamo veramente in un nuovo ciclo lungo in cui, per una serie di ragioni, la redditività si concentra in una componente ristretta del mercato, la sovraperformance delle large cap rispetto alle SMID in Europa potrebbe essere solo all’inizio e, come mostrano i dati, tali tendenze possono durare per un decennio o più.
Figura 1: Valutazioni delle large cap europee rispetto alle SMID
Figura 2: Confronto tra large cap e SMID europee
Seconda parte: i fattori strutturali
Questa parte è molto più lunga e serve a illustrare alcuni fenomeni strutturali assai importanti che gli investitori devono considerare con attenzione prima di privilegiare le società europee a bassa e media capitalizzazione. Tali fattori certamente influenzano il nostro processo decisionale in fase di distribuzione del capitale nei portafogli europei. Ci sono diverse ragioni strutturali, secondo noi, per cui le SMID europee hanno iniziato a riportare performance inferiori negli ultimi anni e per cui questa tendenza potrebbe continuare:
- Negli ultimi vent’anni (ma è un fenomeno che ha accelerato negli ultimi dieci), l’Europa compreso il Regno Unito ha assistito a un processo di profonda riduzione degli investimenti azionari da parte degli istituti come i fondi pensione e le compagnie assicurative che hanno spostato una percentuale consistente del patrimonio verso le obbligazioni. Ciò è accaduto nel settore pensionistico e assicurativo in generale, ma è stato particolarmente pronunciato nel Regno Unito dove il gigantesco settore privato delle pensioni a prestazione definita, con un patrimonio gestito per circa 1.800 miliardi di dollari, ha chiuso (quasi totalmente) la porta ai nuovi membri per via della combinazione tra politiche di governo sbagliate, attuari eccessivamente conservativi e standard contabili inadeguati. Di conseguenza, c’è stata una corsa in massa verso il reddito fisso con l’uscita dai mercati azionari. Per dare qualche cifra, negli ultimi 25 anni la percentuale del patrimonio gestito del settore pensionistico privato (a prestazione definita) britannico investita in azioni è scesa dal 75% circa al 15%: ovvero il 60% del patrimonio per oltre mille miliardi di dollari, equivalente a circa un terzo del Pil del Regno Unito, a valori odierni. Gran parte di questo 60% passato dalle azioni alle obbligazioni riguarda le azioni britanniche, un fenomeno che ha attirato grande attenzione da parte dei mezzi di informazione e della politica del Regno Unito negli ultimi mesi. Dobbiamo però tenere presente che i piani pensionistici a prestazione definita del settore privato del Paese storicamente hanno investito molto anche nei mercati azionari europei (non britannici); circa il 10-15% del patrimonio in gestione era investito in quest’asset class, pertanto la riduzione degli investimenti azionari da parte dei fondi pensione britannici ha ridotto anche la liquidità di altri mercati europei. Inoltre, il settore assicurativo in gran parte d’Europa ha diminuito in misura significativa le posizioni azionarie sulla scorta delle nuove norme come Solvency 2 e altre, e le grandi compagnie assicurative europee come Allianz e Generali hanno perso la loro centralità nei mercati azionari nazionali. L’effetto netto di tale riduzione degli investimenti azionari su vasta scala da parte dei grandi istituti, abbinata alla scarsa propensione delle famiglie a detenere o investire in azioni e fondi azionari, ha ridotto drasticamente la domanda di azioni europee.
- Negli ultimi 17 anni, dalla crisi finanziaria globale, c’è stato il passaggio estremamente pronunciato dalle strategie attive a quelle passive nell’ambito degli investimenti azionari in Europa; la quota delle strategie passive è aumentata dal 15% circa all’epoca della crisi finanziaria globale fino a oltre il 40% odierno. Il passaggio dalle gestioni attive a quelle passive nell’ambito degli indici ponderati per la capitalizzazione di mercato concentra la proprietà nelle large cap e sottrae liquidità alle SMID europee. I gestori attivi in genere hanno una posizione sovrappesata nelle SMID rispetto agli indici ponderati per la capitalizzazione di mercato, a differenza chiaramente dei fondi passivi.
- Più recentemente abbiamo assistito al passaggio dai fondi azionari regionali verso i fondi azionari globali. Anche in questo caso, il capitale tende a concentrarsi in molte delle società a più ampia capitalizzazione, in particolare nelle imprese tecnologiche quotate negli Stati Uniti, e sottrae liquidità alle small e mid cap, in particolare alle SMID europee col passaggio dai fondi azionari a gestione attiva in Europa e nel Regno Unito verso i fondi azionari globali. È un fenomeno più pronunciato nel mercato britannico, sia nel canale istituzionale (pensioni) che in quello privato e della gestione patrimoniale, ma appare evidente anche altrove, seppur in misura minore.
L’effetto netto di tali fenomeni è la profonda riduzione della domanda naturale delle azioni europee (Regno Unito compreso) e la concentrazione del capitale azionario rimanente in molte delle società europee e globali più grandi. I titoli come ASML, Novo Nordisk, LVMH, L’Oréal e simili continuano ad attirare la domanda attraverso i fondi azionari globali (passivi e attivi) e i fondi azionari europei (passivi e attivi), ma le SMID europee presentano una domanda naturale molto più bassa, generalmente concentrata nei fondi azionari attivi europei, con una domanda assai contenuta da parte delle famiglie. Tale domanda non basta assolutamente a sostituire la perdita dei grandi acquirenti istituzionali su vasta scala e dei fondi azionari attivi europei. Si tratta naturalmente di una generalizzazione, infatti alcuni Paesi europei, come i Paesi nordici e la Svizzera, hanno un approccio d’investimento assai più dinamico nei mercati azionari interni. Gli investimenti azionari sono però scarsi in molti dei grandi Paesi (Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Spagna), a ciò si somma la profonda riduzione della domanda di azioni delle SMID europee da parte dei grandi investitori istituzionali, ovvero i fondi pensione dell’enorme settore privato britannico (a prestazione definita) e delle compagnie assicurative europee.
Le due figure seguenti provengono da un rapporto molto interessante del gruppo di esperti New Financial e riguardano unicamente il mercato britannico (i dati e l’analisi nel rapporto ha attirato grande attenzione nel Regno Unito). La prima figura mostra molto chiaramente alcuni di questi aspetti, tra cui il drammatico calo degli investimenti azionari e una profonda riduzione degli investimenti in azioni britanniche nel Regno Unito. Sebbene il Regno Unito sia solo un mercato, storicamente è stato una fonte enorme di capitali per i mercati azionari europei, e di per sé un mercato azionario ampio. Gli effetti possono dunque essere consistenti e riguardano anche gli altri mercati europei.
Figura 3: Cambia l’asset allocation nel mercato britannico
La seconda figura corrobora la convinzione che per i fondi pensione “aperti” rimanenti, ovvero fondi a prestazione definita del settore pubblico e fondi a contribuzione definita del settore privato, solamente una piccola percentuale è investita in azioni locali. Indubbiamente non è una buona notizia per le azioni britanniche, tuttavia è probabile che anche gli investimenti azionari non britannici convergano ora verso i fondi globali, mentre in precedenza confluivano nei fondi regionali.
Figura 4: Ripartizione del capitale dei fondi britannici
L’ultima figura illustra due fenomeni: primo, la bassissima allocation azionaria da parte delle famiglie europee rispetto a quelle americane e, secondo, quasi la metà delle azioni europee oggi è nelle mani di non europei. Infatti, se escludiamo le “società non finanziarie” (ovvero rettifichiamo il free float sottraendo le imprese quotate di proprietà di fondazioni/famiglie), sembra che gli investitori statunitensi (singoli e istituzioni) possiedano più azioni europee degli europei stessi (singoli e istituzioni). Considerato che è molto più probabile che gli investitori americani acquistino le società più grandi e globali, ciò dimostra la tendenza ad allontanarsi dalle SMID europee e la domanda carente.
Figura 5: Azioni di proprietà delle famiglie in Europa e nell’Area Euro
Forse abbiamo sovrastimato questi fenomeni strutturali e, nelle giuste condizioni cicliche, i capitali torneranno verso le small e mid cap europee. È inoltre possibile che assisteremo a un maggiore impegno attivo da parte delle società di private equity attraverso l’acquisto di titoli convenienti di SMID europee, come sta accadendo nel Regno Unito. Noi crediamo però che serva una risposta politica più forte, a livello ufficiale, per stimolare un aumento della domanda di SMID europee nel più lungo termine, e al momento non ne intravediamo i segnali.
In conclusione, per noi è difficile concordare con chi sostiene che le azioni SMID europee scambiano a valutazioni fortemente scontate rispetto alle large cap europee, semplicemente perché i dati non corroborano tale affermazione. Secondo noi, le società europee a bassa e media capitalizzazione presentano effettivamente valutazioni interessanti, ma non più delle azioni europee in generale, e ci sono ragioni strutturali che ci spingono a procedere con cautela sul fronte delle SMID europee per via della composizione del risparmio in Europa e su scala globale.
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